Lo scrittore Andrea Ferrari scrive la prefazione del nuovo Doblone: Sei donne e un libro di Augusto De Angelis.
Ogni Doblone ha un ospite speciale che ha il compito di introdurci nel mondo narrativo dell’autrice o dell’autore che stiamo per leggere. Con Sei donne e un libro di Augusto De Angelis, abbiamo affidato questo compito allo scrittore e noirista Andrea Ferrari. Ecco la sua prefazione.
Sei donne e un libro.
Preferisco le postfazioni.
Meno responsabilità.
Arrivano alla fine della lettura e, diciamocelo, spesso vengono saltate a piedi pari.
Le prefazioni, invece, debbono valere il prezzo del libro.
Di solito quelle non si saltano, ma si leggono come fossero un messaggio di benvenuto.
Una specie di viatico al piacere della lettura.
E se la prefazione toppa, il piacere rischia di incrinarsi.
Così, quando mi sono preso la responsabilità di redarre questa prefazione a Sei donne e un libro di Augusto De Angelis mi si è posto di fronte un gigantesco punto di domanda.
Lui stava lì, mi fissava con il suo andamento sghembo e quel fare inquisitorio tipico di chi sa e non vuol rivelare. Mi guardava e lo sentivo sogghignare, compiaciuto, per il disagio che mi provocava.
Non potevo dargliela vinta, così mi sono buttato a capofitto in questa sfida.
“Hanno rubato la Madonnina del Duomo e lei dubita che sia stata Pat… la signornia Drury o io a mettercela in tasca?”
Questo dialogo che si trova poco dopo l’inizio di Sei donne e un libro è stato rivelatore.
Un singolo dialogo, perfino un frammento, è in grado di rivelare molto di un’opera.
Del suo intento e del suo autore.
Di colpo mi sono spiegato perché fosse stato chiesto proprio a me di occuparmi di questo gravoso compito e sono partito lancia in resta.
Noi narratori che ci balocchiamo nel raccontare la città di Milano e la percorriamo in lungo e in largo, soffermandoci nelle pieghe più nascoste delle sue sottane, non possiamo prescindere da alcuni giganti che ci offrono riluttanti o compiacenti (a voi l’ardua sentenza) le loro possenti spalle dove poggiare i nostri piedi stanchi per il continuo vagare.
Tutti citeranno fra questi Giorgio Scerbanenco, ovviamente, ma anche i giganti si sono appoggiati sulle spalle di qualcun altro. Questi è, senza ombra di dubbio, Augusto De Angelis che con il suo Commissario De Vincenzi ha ripreso il filo tracciato da Emilio De Marchi, Francesco Mastriani e Carolina Invernizio, e lo ha posto al centro dell’attualità del suo tempo sostenendo che il giallo e il romanzo sociale fossero un tutt’uno, e che fosse sacrosanto percorrere una via italiana, originale, scostata dalle esperienze anglosassoni e statunitensi.
De Angelis, con il Commissario De Vincenzi, ha quindi posto in essere una rivoluzione educata, fatta di ironia, di maniera che scardina il manierismo e s’insinua sotto la pelle del lettore più attento e perspicace. Scrivere certe storie nel 1936 non doveva certo essere una passeggiata di salute, dato il clima piuttosto rigido (si apprezzi la delicatezza) in cui ci si trovava in Italia e in particolare a Milano. Ciononostante, Augusto De Angelis si è permesso di rischiare e la sua audacia è stata ripagata, se non nell’immediato, certamente dai posteri che dagli anni sessanta in poi non lo hanno più dimenticato.In questo volume, cari lettori, troverete una Milano con un’anima vera, nera e al contempo gentile.
Una città che si fa complice, panorama, e attrice del dramma umano che si viene raccontando. Una città così lontana per linguaggi e locuzioni, ma così prossima alla nostra per geografia e indole. Luogo perfetto per mani operose, menti inquiete come quella del Commissario De Vincenzi e per sentimenti forti, addirittura travolgenti.
Una città, insomma, che spunta dalle righe delle pagine e ti afferra per il bavero trascinandoti per le sue vie, per i suoi androni e che alla fine ti restituisce stropicciato, ma soddisfatto, al tuo tempo.Non leggerete più un libro ambientato a Milano nello stesso modo, dopo aver apprezzato Sei donne e un libro o qualsiasi altra avventura del Commissario De Vincenzi. La sua poetica, a mio avviso, si può considerare il primo spartiacque della letteratura di genere italiana.
Andrea Ferrari
C’è un prima e un dopo, non si scappa.
Il metodo De Vincenzi, il suo perseguire la verità cacciando fra i sentimenti, dentro le viscere dell’animo umano e dell’inconscio, ricercando i perché di gesti estremi come l’omicidio, restituiscono a Milano e ai milanesi una dimensione umana, di carne e sentimento che la modernità ha contribuito a smarrire e a confondere.
L’efficienza è scambiata come una virtù morale, di questi tempi.
Il Commissario De Vincenzi, ci ricorda passo dopo passo che le ragioni di un colpevole ci sono spesso molto, anzi troppo, vicine e che è nostro compito accorgercene e ponderarle per non caderne vittime a nostra volta.
Buon viaggio e buona lettura.