La nostra libraia Mariana Marenghi firma la premessa del nostro nuovo Doblone, Giobbe Tuama & C. di Augusto De Angelis.
Anche Giobbe Tuama & C., come ogni Doblone, ha una madrina o un padrino che lo portano a battesimo creando una premessa ad arte. Per questa pubblicazione, abbiamo chiesto alla libraia Mariana Marenghi, nonché fondatrice de iDobloni, di dire la sua. Ecco cosa ha scritto in premessa al romanzo.
Non chiamatelo classico – Dalla Premessa di Giobbe Tuama & C.
Se ci si chiede per quale motivo si dovrebbe leggere un romanzo scritto quasi un secolo fa, probabilmente non si è mai aperto un giallo scritto da Augusto De Angelis. Per provare a dare una risposta a questo quesito, si parte da quello che scriveva proprio Augusto De Angelis nel suo saggio “Il romanzo «giallo». Confessioni e meditazioni”:
“Io mi sono proposto di fare romanzi polizieschi in cui le persone vivano secondo natura, in cui la vittima, il colpevole, il detective abbiano muscoli sangue cuore e anima.
Non nego che l’assenza di psicologia, la quale caratterizza tutti o quasi tutti i romanzi polizieschi stranieri, e la delineazione sommaria dei personaggi, la cui umanità quegli autori non introducono mai sotto pena di sfondarne l’orditura, riescano talvolta, per effetto della loro stessa indeterminatezza, ad essere suggestive.
Ma io penso che questo appunto faccia sì che il lettore, appena terminato di leggere il libro, appena conosciuto il motto dell’enigma, si trovi immediatamente libero da quella suggestione e tutto dimentichi del libro stesso, perché non possono rimanere nel nostro spirito creature d’arte, che non hanno spirito, che non hanno anima.
L’essenziale, per me, è creare un clima.
Far vivere al lettore il dramma.”
Era il 1939, il MinCulPop, il Ministero della Cultura Popolare aveva da qualche anno stretto sulla pubblicazione e stesura di quelli che in Italia vengono chiamati “gialli”, ponendo regole precise e imponendo un modo di leggere il reale, molto lontano dal reale stesso. E Augusto De Angelis, invece, pur restando ai limiti di quella censura, non smette di studiare, leggere e scrivere. E scrive storie gialle in cui, nessuno, italiano o straniero, benestante o povero, si salva del tutto.
È questo il primo motivo che rende Augusto De Angelis un autore ancora attuale. Non impressionino gli abiti d’antan, le carrozze nei parchi e i tassì. Non blocchino le vie di una Milano cambiata nel tempo. Non si sorrida paternalisticamente ai metodi di indagine “analogici” di un tempo. in cui il rilevamento delle impronte era una innovazione. Il cuore degli uomini rimane, per lo più, invariato nello scorrere dei secoli. Le città come Milano si stratificano e cambiano di giorno in giorno, ma nel cuore sono schiette come poche. Le tecnologie sono solo strumenti: la differenza la fanno gli uomini che le usano. E il Commissario De Vincenzi sa fare questa differenza.
Nelle sue mani le donne e gli uomini che incontra, interroga e studia diventano come fili di una tela che pazientemente tesse, pagina dopo pagina. Ogni filo, un segreto covato nel cuore; una sottile relazione che lo lega indissolubilmente alla vita della vittima. In questa rete, De Vincenzi non si muove alla Sherlock Holmes. Non va a caccia di indizi, non deduce soluzioni mettendo insieme pezzi raccolti durante l’indagine, non si sporca le mani correndo dietro al suo colpevole. Il suo è un lavorio tutto cerebrale e di cuore. Sì, perché il nostro Commissario, ad ogni indagine, si cala letteralmente nei panni dei suoi indiziati. Cerca di scoprirne i movimenti del cuore e dell’animo, più che il modus operandi con cui l’assassino ha compiuto il delitto. Non importa se sia stata usata una pistola, uno stiletto, un pugnale o del veleno. O, almeno, non importa solo quello. Il Commissario parte ricostruendo la vita di chi rimane, di chi conosceva la vittima, di chi aveva relazioni con essa. Ne traccia profili e contorni con l’intento di analizzare il quadro umano nel complesso e, una volta scorto lo scenario nel suo insieme, trovare il filo da seguire e che lo porterà al vero colpevole.
Non è un metodo infallibile il suo. Quante volte lo vediamo agire “fuori legge”, infrangendo l’iter burocratico che il suo ruolo prevederebbe; quante volte lo vediamo “mentire” e rischiare anche il posto di lavoro nell’intento di trovare la verità. Il lavoro di De Vincenzi è empirico e profondo, come quello degli scienziati in un laboratorio. Così come è quello di Augusto De Angelis nel tentativo di creare un giallo – e un commissario – veramente italiani, in un epoca in cui dominava il modello americano, stava nascendo l’astro di Simenon, la politica italiana guardava allo “straniero” come all’unica causa di tutti i problemi del paese.
In questo scenario, Augusto De Angelis esprime tutto il suo antifascismo. Lo fa creando un personaggio comune, un uomo che, sin dalla sua prima comparsa nel Banchiere assassinato, è descritto come un vecchio amico che si è soliti incontrare per le strade di Milano. Un uomo che si chiede come mai abbia deciso di fare il commissario di polizia, quando i suoi unici interessi sono una vita appartata, lontana dalla città, e la lettura. Un uomo che crede nella giustizia, ma che sente su di sé tutto il peso delle anime corrotte che persegue. Un uomo che non condanna mai, fino in fondo, il carnefice di turno, cercando di comprendere sempre anche le sue ragioni.
Quanto è lontano dall’azione e dal rischio fascista? Dall’ideale di uomo virile e perfetto, forte e duro, incarnato dall’ideologia del Ventennio?
Ma soprattutto, quanto è vicino al nostro tempo il perenne “dubito, ergo sum” incarnato da De Angelis?
Si vive in un epoca strana. Un’epoca in cui si ambisce alla perfezione, in cui si cercano colpevoli per ogni problema, in cui si inneggia alla libertà, ma non si è disposti alla comprensione e al sacrificio; in cui si desidera tutto e troppo e subito. Un’epoca in cui, in poche parole, le persone come De Angelis sono ancora ai margini della società. Ammirate da pochi, come i Sani e i Cruni suoi collaboratori; incomprese dai più, come i colleghi con cui si ritrova a collaborare, caso dopo caso. “È roba da Squadra Mobile quella lì e ci si divertirà il suo collega De Vincenzi, tanto non vuol altro, De Vincenzi, che i delitti misteriosi, i problemi complicati, gli enigmi! E con tutti quei pazzi avrà più di quel che desidera” pensa il commissario collega di De Vincenzi, nel primo capitolo di Giobbe Tuama & co. In affermazioni come questa c’è tutto il nocciolo della questione. Mentre intorno a lui tutto richiede di essere normato, De Vincenzi è quell’individuo che non agisce per sentire comune, ma per coscienza. È colui che sa che non esistono “pazzi”, “assassini” di nascita. Ha studiato e imparato, ha provato immedesimandosi in essi, che qualsiasi buona persona può macchiarsi del più atroce delitto e, comunque, giustificare il proprio operato. Non esistono stranieri o ebrei cattivi – anzi, se solo si pensa al “Candeliere a sette fiamme” -; non esistono colpevoli su cui scaricare tutte le responsabilità; non esistono donne e uomini assolutamente innocenti. La perfezione è l’illusione di questi tempi e si dissolverà solo quando gli individui impareranno a pensare secondo coscienza. La propria.
E dal 1935, anno della prima pubblicazione della serie di De Angelis, si sta ancora aspettando che questo tempo arrivi.
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Prodotto in venditaGiobbe Tuama & C.Il prezzo originale era: 15,00 €.13,00 €Il prezzo attuale è: 13,00 €.