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Maria Savi Lopez

Conosciamo una autrice che iCartesiani riportano in libreria, grazie al profilo tracciato da Andrea Gibertoni.

Fu certamente una vita avventurosa, quasi al pari di quelle narrate nelle sue numerose opere, quella della napoletana Maria Lopez, nata nella capitale dell’allora Regno delle Due Sicilie il 6 aprile del 1846.
Fuggita in giovane età a Torino a causa di alcune disavventure che il padre ebbe con la polizia borbonica, lì studia con profitto formandosi culturalmente e a livello personale: donna dall’indole curiosissima e dagli interessi assai variegati, riesce fin da subito a unire queste sue inclinazioni a una innata capacità scrittoria. Questo le permette ben presto di costruirsi un solidissimo background che poi saprà sfruttare abilmente grazie anche a una fantasia a dir poco sfrenata. Ciò si avverte in particolare nei suoi primissimi lavori, perlopiù opere di narrativa breve, nonostante in seguito si cimenterà con buoni risultati anche nel romanzo.
Prime esperienze indubbiamente ancora un po’ acerbe ma che già si fanno notare per la tendenza della giovane Maria a servirsi di un linguaggio estremamente ricco e venato di poesia; caratteristiche queste che si potranno ritrovare anche nei numerosi saggi e articoli che ella pubblicherà in seguito.
Nel frattempo si sposa con il dottor Savi, dal quale acquisisce il cognome, divenendo così Maria Savi Lopez, nome che utilizzerà per firmare tutte le proprie pubblicazioni e che manterrà fino alla morte.
Dopo soli sette anni di matrimonio però si ritrova a far fronte a una situazione tutt’altro che semplice: il marito viene a mancare e lei si ritrova di colpo vedova e col figlioletto Paolo totalmente a suo carico.
Ed è così che, spinta soprattutto dal bisogno di assicurare il sostentamento a sé e al figlio, che inizia a trasformare quella che prima era poco più di una passione – seppur grandissima – in un vero e proprio lavoro retribuito.
Per fare ciò tuttavia dovrà giocoforza scrivere, e di conseguenza pubblicare, con un ritmo e una frequenza davvero impressionanti: alla fine saranno più di 70 i lavori a suo nome, tra raccolte di poesie, antologie di racconti, romanzi e saggi; tutto questo senza contare i numerosissimi articoli per riviste di vario tipo e opuscoli didattici realizzati per le scuole in cui a un certo punto andrà a insegnare.

Una vicenda che ricorda tristemente da vicino quelle di altre autrici di assoluto livello che spesso e volentieri si trovarono costrette a sacrificare il proprio genio a tristi (e assai penalizzanti) dinamiche familiari, come ad esempio l’irlandese Charlotte Riddell (1832-1906) maestra riconosciuta del gotico vittoriano, che scriveva un’infinità di storie (in particolare di fantasmi) che andavano letteralmente a ruba e che le permettevano così di ripianare i debiti che il dissennato marito continuava a contrarre.
Ancor più recente – e forse ancor più clamoroso – è il caso di Shirley Jackson (1916-1965) che, oltre a produrre autentici capolavori come L’incubo di Hill House, La lotteria, Abbiamo sempre vissuto nel castello e Lizzie, solo per citare i titoli più noti, doveva anche occuparsi di crescere ben quattro figli praticamente da sola, dato che il marito (professore universitario) era solito sparire di casa per concedersi qualche “scappatella” con le giovani allieve.
Situazione che causerà alla weirdwoman di San Francisco una discesa nel baratro della depressione, con conseguente alcolismo, dipendenza da psicofarmaci e aumento di peso che la condurranno purtroppo a una morte prematura, a neanche cinquant’anni. Ancora oggi uno dei più prestigiosi riconoscimenti mondiali a livello di narrativa fantastica porta il suo nome, lo Shirley Jackson Award, e autentici mostri sacri della letteratura del brivido come Richard Matheson, Stephen King e Ramsey Campbell l’hanno sempre citata tra le loro principali influenze.
Questo a sottolineare ancora una volta come la difficile – difficilissima fino a qualche tempo fa – condizione femminile si rispecchiava purtroppo in tutti gli ambiti: persino in quelli in cui, come abbiamo visto, vi erano donne estremamente più dotate dei loro compagni ma obbligate a sottostare a situazioni incredibilmente ingiuste e umilianti.

Tornando a Maria Savi Lopez, va detto che poco dopo la morte del marito tornerà a Napoli dove troverà impiego come insegnante in diversi istituti, pubblicando nel 1885 il primo lavoro ufficiale intitolato Serena, seguito l’anno successivo dal “romanzo per giovinette” Per l’amore e dalla raccolta di racconti Casa Leardi.
Ed è a questo punto che la scrittrice napoletana inizia a interessarsi sempre più di mitologia, di tradizioni popolari e di folklore, costruendo in questo modo l’impalcatura su cui si reggeranno gran parte delle sue opere più conosciute e apprezzate, a partire da Leggende delle Alpi (1887), Battaglie nell’ombra (1887), Danimarca e Islanda. Nei Paesi del Nord (1894) e, per l’appunto, questo Leggende del mare (1895) che avete appena terminato di leggere: un’opera di assoluto rilievo che si fa forza della prosa aggraziata, elegante e deliziosamente rétro con la quale Maria Savi Lopez riesce nell’ardua impresa di divulgare, intrattenere e far sognare al tempo stesso.
Risalgono inoltre a questo periodo le sue frequentazioni con alcuni dei maggiori intellettuali italiani dell’epoca: da Benedetto Croce a Giosuè Carducci, da Antonio Fogazzaro fino al noto geologo Giuseppe Mercalli. Si dice addirittura che il veronese Emilio Salgari, grande maestro del romanzo d’avventura, inizi a concepire le sue celeberrime saghe ambientate nei Mari del Sud proprio dopo esser rimasto folgorato dalla lettura di Leggende del mare: sono certamente gli anni migliori per la studiosa partenopea, in cui finalmente le viene riconosciuto il suo grande impegno e l’importanza del suo lavoro.
Successivamente si dedicherà con sempre maggiore frequenza agli studi sul folklore e col passar del tempo subentrerà in lei un crescente interesse nei confronti del sovrannaturale e dell’occulto, come possono testimoniare Donne, spiriti e poeti (1895), I fantasmi e la vita futura presso gl’indigeni americani (1896), La dama bianca (1899), Vecchi castelli (1911) e Leggende e paesaggi della Foresta Nera (1914).

Il destino però incombe spietato e si accanisce ancora una volta su di lei. Nel 1919 verrà infatti colpita da un altro gravissimo lutto: l’adorato figlio Paolo, stimato professore universitario e filologo, muore improvvisamente. Maria, ormai ultrasettantenne, si ritira a vivere gli ultimi anni che le restano all’interno del convento delle Figlie della Carità, da cui non uscirà più.
Maria Savi Lopez, dopo una vita intera dedicata allo studio, alla letteratura e all’arte in genere, si spegnerà a Napoli nel 1940 ma restano le opere di, come ebbe a definirla il fondatore della Società per le tradizioni popolari Italiane Angelo De Gubernatis nel 1892, “una valorosa donna che certamente occuperà un posto di prim’ordine nella letteratura femminile d’Italia”.
Purtroppo come sappiamo non è andata proprio così, visto l’oblio in cui Maria Savi Lopez sembra essere sprofondata nel secondo dopoguerra, ma fortunatamente siamo sempre in tempo per poter rimediare; magari partendo proprio da questo volume che stringete tra le mani.

Andrea Gibertoni

Per ricostruire in parte la biografia di Maria Savi Lopez ho utilizzato come fonte principale l’articolo di Rossella Perugi Una voyageuse en fateuil: Maria Savi Lopez, uscito su “Vitaminevaganti”, 30 aprile 2022

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